Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma via dei Portoghesi n. 12, domicilia; Contro la regione Lombardia in persona del presidente della giunta regionale pro tempore per la declaratoria dell'illegittimita' costituzionale: del combinato disposto degli articoli 9, commi 12 e 13, e 11, comma 3; nonche' degli articoli 19, comma 2, lettera b) n. 2, e 10, comma 1, lettera d) in relazione agli articoli 55, comma 1, lettera b) e 57, comma 1 lettere a) e b); ed infine degli articoli 27, comma 1 lettera e) n. 4 e 33 della legge regionale n. 12 dell'11 marzo 2005, pubblicata sul bollettino ufficiale regionale n. 11 del 16 marzo 2005 e recante il titolo «Legge per il governo del territorio». La presentazione del presente ricorso e stata decisa dal Consiglio dei ministri nella riunione del 13 maggio 2005 (si depositeranno estratto del verbale e relazione del ministro proponente). La legge della regione Lombardia disciplina compiutamente la materia del governo del territorio ai sensi dell'art. 117, comma 3, della Costituzione ed essendo stata adottata nell'esercizio di potesta' legislativa concorrente deve essere conforme ai principi fondamentali che, nell'ordinamento statale e comunitario, regolano la materia disciplinata. Sulla base di tale criterio, la legge della regione Lombardia, in epigrafe indicata, viene censurata per i seguenti. M o t i v i 1. - L'articolo 9 (commi 12 e 13) prevede la possibilita' da parte del proprietario dell'area di realizzare direttamente attrezzature e servizi indicati dal «Piano dei servizi», per la cui attuazione e' preordinato il vincolo di espropriazione. 2. - L'articolo 11, comma 3, stabilisce in via generale che le amministrazioni locali possano attribuire aree in permuta o diritti edificatori trasferibili su aree edificabili a titolo di compensazione della cessione gratuita di «aree destinate alla realizzazione di interventi di interesse pubblico o generale, non disciplinate da piani e da atti di programmazione». In particolare, il secondo capoverso del medesimo comma testualmente recita: «In alternativa a tale attribuzione di diritti edificatori, sulla base delle indicazioni del piano dei servizi, il proprietario puo' realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o generale, mediante accreditamento o stipulazione di convenzione con il comune per la gestione del servizio». Tali disposizioni, allorche' l'entita' dei lavori da realizzare superano la soglia stabilita' dall'U.E, contrastano con la normativa comunitaria e statale che disciplina le modalita' di affidamento degli appalti pubblici di lavori e servizi. In particolare violano i principi generali del Trattato comunitario sulla tutela della concorrenza e nell'ambito del mercato specifico degli appalti, le direttive 92/50 (servizi), 93/36/CE (forniture), 93/37 (lavori pubblici), e 93/38/CE (settori esclusi). Tali direttive sono state attuate in Italia rispettivamente dai decreti legislativi n. 157/1995, n. 358/1992 e n. 402/1998, dalla legge n. 109/1994 ed ancora dai decreti legislativi n. 158/1995 e n. 525/1999. Le citate direttive europee prevedono, infatti, per la realizzazione di tali interventi procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica, derogabili solo in casi limitatissimi ed eccezionali. In particolare, ai sensi dell'art. 19, comma 1, della legge n. 109/1994 i lavori pubblici possono essere realizzati esclusivamente mediante contratto di appalto o di concessione di lavori pubblici, che negli anni la normativa comunitaria ha progressivamente equiparato, quanto alla procedura di scelta del contraente agli appalti pubblici, proprio per evitare che diventasse, da strumento di legittima sostituzione della pubblica amministrazione nella realizzazione di opere pubbliche, mero espediente per eludere la disciplina comunitaria sugli appalti pubblici. Lo scambio ipotizzato nelle norme approvate dalla regione Lombardia, tra proprietario che ha realizzato direttamente i servizi previsti nel piano e l'ente pubblico che li acquista, riguarda comunque valori e diritti di stretta pertinenza pubblica, in relazione ai quali il soggetto privato acquista connotazioni tipiche di «organismo di diritto pubblico», tali da non poter ragionevolmente sottrarsi all'onere di realizzare tali interventi (finanziati, come detto, in tutto o in parte con risorse e diritti di appartenenza pubblica) attraverso procedure di evidenza pubblica che assicurino il miglior uso delle risorse collettive. In materia di urbanistica consensuale e realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione da parte dei privati, va ricordata la sentenza 12 luglio 2001 della VI sez. della Corte di Giustizia delle Comunita' europee, secondo la quale, allorche' il titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione realizza direttamente le opere di urbanizzazione, a scomputo (totale o parziale) dei contributi dovuti per il rilascio della concessione, si e' in presenza in ogni caso di un «appalto di lavori» in base alla normativa comunitaria. Dunque nel caso in cui il valore stimato dell'opera eguagli o superi la soglia comunitaria (art. 6 Dir. 93/37/CE) la direttiva comunitaria trova applicazione e, con essa, il procedimento di evidenza pubblica. In altri termini la giurisprudenza comunitaria non vieta la possibilita' di convenzioni tra amministrazione e privati sulle opere di urbanizzazione, ma incide sul modo di realizzarle, imponendo sempre procedure ad evidenza pubblica. A conferma della vigenza di tale regola comunitaria, l'articolo 2, comma 5, della legge n. 109/1994 stabilisce che «per le singole opere d'importo superiore alla soglia comunitaria i soggetti privati sono tenuti ad affidare le stesse nel rispetto delle procedure di gara previste dalla citata direttiva 93/37/CEE». Appare quindi evidente che gli articoli 9, commi 12 e 13 e l'art. 11, comma 3, secondo periodo, della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005, nella parte non prevedono una procedura di gara per la realizzazione di lavori pubblici, oltre a violare principi generali della legislazione nazionale in materia, eccedono anche il limite dei vincoli comunitari di cui all'art. 117, primo comma della Costituzione. 2. - La norma contenuta nell'articolo 19, comma 2, lettera b) n. 2 stabilisce che il piano territoriale regionale definisce gli indirizzi generali per il riassetto del territorio ai fini della prevenzione dei rischi geologici, idrogeologici e sismici; Le disposizioni di cui agli articoli 55, comma 1, lettera b) e 57, comma 1, lettere a) e b) prevedono che gli indirizzi per l'assetto del territorio, ai fini della prevenzione dei rischi geologici e idrogeologici e della loro mitigazione, nonche' le direttive per la prevenzione del rischio sismico e l'individuazione delle zone sismiche, vengano emanate dalla giunta regionale. Tali disposizioni si pongono in contrasto con le norme di cui all'articolo 107 del decreto legislativo n. 112/1998 e all'articolo 5 della legge n. 401/2001, che affermano la competenza dello Stato alla predisposizione degli indirizzi e dei criteri generali nonche' delle direttive in materia di previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio. Dette disposizioni statali devono considerarsi principi fondamentali della materia protezione civile, vincolanti la potesta' legislativa concorrente delle regione sulla materia stessa, ai sensi dell'articolo 117, comma 3, Cost. Infatti l'attribuzione allo Stato della competenza alla definizione degli indirizzi generali di protezione civile e' finalizzata a garantire uniformita' territoriale degli interventi. Parimenti, appare censurabile l'articolo 10, comma 1, lettera d) nella parte in cui si richiama a quanto previsto dal citato articolo 57. 3. - Gli articoli 27, comma 1, lett. e), numero 4 e 33 sottopongono l'installazione degli impianti di comunicazione elettronica ad un iter autorizzatorio comunale (rilascio del permesso di costruire), ulteriore rispetto a quello gia' previsto dall'articolo 87 del decreto legislativo n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), attuativo delle direttive comunitarie 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE. L'art. 86 del decreto legislativo n. 259/2003 stabilisce, in particolare, che le autorita' competenti alla gestione del suolo pubblico adottino «senza indugio» le occorrenti decisioni, rispettando le procedure di cui agli articoli 87, 88 e 89, nell'esame delle domande per la concessione del diritto di installare le infrastrutture di comunicazione elettronica. Il successivo articolo 87, disciplina il procedimento autorizzatorio, il cui iter si conclude con l'accoglimento delle istanze, qualora entro 90 giorni dalla presentazione della domanda non sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte dell'ente locale. L'ente medesimo potrebbe «prevedere termini piu' brevi per la conclusione dei relativi procedimenti e ulteriori forme di semplificazione amministrativa» (art. 87, comma 9) ma non puo' sottoporre l'installazione degli impianti ad un altro e diverso iter di autorizzazione, che si traduce in un ingiustificato appesantimento del procedimento e nella conseguente violazione della normativa nazionale e comunitaria richiamata. Al riguardo, per quanto riguarda il diritto nazionale vigente ed i principi generali che lo regolano, si segnala la decisione n. 100 dell'11 gennaio 2005, con la quale il Consiglio di Stato ha stabilito che, per l'installazione di torri e tralicci per gli impianti telefonici, la procedura di autorizzazione da applicare e' solo quella di cui all'art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche e che pertanto non e' necessario il rilascio del permesso di costruire.